Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 22 luglio 2019
Ciò che in un primo tempo ha scosso maggiormente l’opinione pubblica a proposito della vicenda Bellomo non sono tanto le accuse, pur gravi, che la magistratura ha contestato (maltrattamenti ed estorsione). Piuttosto ha colpito il fatto che in questo caso non avremmo a che fare con uno dei tanti “guru” di una qualsiasi setta che plagia biecamente gli individui, prediligendo soggetti portatori di fragilità fisiche e psichiche, oppure incolti e creduloni che facilmente cadono nel gioco di marpioni con pochi scrupoli. Per l’accusa le vittime in questione sono donne adulte, cultrici del diritto, con solidi studi alle spalle e desiderose di diventare giudici, “arbitri in terra del bene e del male”.
Dopo la richiesta di arresto, egual stupore ha suscitato la lettura delle motivazioni con le quali i pm chiedono invece l’archiviazione del suddetto, adducendo che molti dei contatti intervenuti tra Bellomo e le studentesse non siano stati posti in essere in via unilaterale da parte dell’indagato, ma si siano iscritti nell’ambito di una rete di scambi connotata da reciprocità. Vittime di un despota? Oppure complici accondiscendenti e interessate? Le due verità, che paiono agli estremi, innescano il dibattito estivo.
Ricordo bene il mio vecchio insegnate di greco, persona dottissima e di saggezza sterminata. Il suo sapere su Omero non tramutò tutti noi in grecisti, ma seppe mettere in moto quelle leve della curiosità trasmettendo la passione per l’esegesi del testo, per la ricerca approfondita e per la ricerca di questioni apparentemente insondabili. Per noi lui era “il sapere”, era l’etica con le gambe. Per lui avremo fatto qualsiasi cosa. Da qualunque altro professore fossero venuti i medesimi consigli, subito sarebbero stati derubricati a formulette banali prive di validità. Non parliamo dunque né di sudditanza né di sottomissione volontaria, né di giuramenti fatti. Parliamo di quella insondabile modalità per la quale individui adulti, sani di mente, apparentemente dotati di libero giudizio, accettano imposizioni e regole che appaiono dissonanti con la loro etica di vita.
Questo meccanismo dà la cifra di tanta rituale ossequiosità dei sottoposti che notiamo quando entriamo in banca ed entra il direttore, delle riverenza che molti professionisti mostrano verso il loro capo. Ad un occhio non attento, solo le persone deboli o strutturalmente più fragili si immagina possano cadere vittima del plagio di un altro uomo tramite l’uso esclusivo della parola o del sapere.