N.S: Vado e torno da lavoro. Cammino e canto “L’abisso” di Bianconi. Un po’ respiro.
Rientro in casa e tolta la mascherina un po’ soffoco.
Mi torna in mente un brano di Gaber e Luporini, “C’è solo la strada”, che mi comprende e mi pungola.
In questo pezzo riprendono da Céline l’idea della schiavitù in cui vive l’uomo nelle case, condizione che degrada progressivamente i suoi slanci e i suoi affetti.
Un utente su YouTube commenta la canzone così: “L’isolamento al tempo del Covid-19 spero ci porterà a riscoprire il piacere vero di stare per strada e nelle piazze. La nostra identità si realizza nell’occhio dell’altro.”
“Nelle case non c’è niente di buono
appena una porta si chiude
dietro un uomo
Succede qualcosa di strano
non c’è niente da fare
è fatale quell’uomo
incomincia ad ammuffire
Ma basta una chiave
che chiuda la porta d’ingresso
che non sei già più come prima
e ti senti depresso.”
N.S: Mi faccio un mucchio di domande: come abbiamo affrontato l’isolamento? Come sarò con gli amici? Come sarà stare di nuovo in strada, in piazza? La quarantena è stata un’occasione preziosa? Siamo riusciti a sfruttarla? Cos’era la normalità? Come sarà la nuova?
Colgo l’occasione e rivolgo tutte queste domande allo psicanalista Maurizio Montanari.
Dott. Montanari: “La normalità di prima era un’idea di una sorta di immortalità, una malattia che capita agli altri: l’altro, che non ci riguarda.
La normalità nella quale noi dobbiamo tornare ad immergerci era fatta di promesse di vita infinita, di diete, di soluzioni miracolose, che la pandemia ha infranto.
Sarà difficile ritornare, perché la normalità era fittizia. Ci siamo per anni raccontati che bastava un po’ di vigore fisico, andare in palestra per evitare la morte. Ci ha riportato con i piedi per terra e ci ha fatto capire che normalità significa mettere in conto di poter perdere un caro per uno starnuto.
La normalità a cui siamo abituati è una normalità di tipo “evitante”: l’isolamento ci costringe a fare i conti con tutto quello abbiamo cercato di evitare. Torneremo ad una normalità in cui ci renderemo conto di aver delegato e appaltato, pagando caramente, tutto quello che poteva proteggerci dalla malattia, dal dolore, dallo spegnimento; ma conosciuta la vita per quanto è sofferente, ci sarà un aumento degli strumenti per stare ancora più lontani dalla sofferenza.”
N.S: Cosa pensa degli strumenti usati dell’analista?
Dott. Montanari: “Sono antitetici a quello che è il mercato comune.
L’industria farmaceutica ha lavorato pesantemente per allontanare l’individuo dalle riflessioni su sé stesso, delegando al farmaco qualunque cosa: se c’è un momento depressivo c’è la pillola, se la tua donna ti ha lasciato c’è la pillola. Viviamo in una società completamente deresponsabilizzata: per qualunque cosa ti succeda, non sei spinto a chiederti come accidenti tu sia entrato in certe situazioni.
I servizi per la salute mentale pubblici e reti private devono essere potenziati.
Tutti questi suicidi che vediamo apparire sono solo la punta dell’iceberg, molti di essi sono legati in maniera diretta alla perdita del lavoro.
Nella normalità accadrà che tante aziende collasseranno. Lì c’è tutto un indotto di disperazione. Persone che dovranno andare a mendicare per cercare denaro. Statisticamente una parte rimarrà chiusa in casa, alcuni cominceranno a bere, altri giocheranno d’azzardo, alcuni cercheranno di guadagnarsi il pane in maniera non lecita, altri che erano sul limite, piomberanno in depressione.
Ma la colpa è sempre di qualcuno, e c’è un rimedio pronto all’uso, dunque la totale farmacologizzazione degli affetti si è opposta al lavoro personale.
Far rendere conto ad un soggetto della sua precarietà, quando arriva in studio già drogato, sedato, fatto di cocaina perché deve stare dodici ore a lavoro, pieno di ansiolitici, dirgli che deve mollare tutto questo e riflettere su che vita ha vissuto, significa perderlo. Perché risponde “non ci penso neanche”.
La normalità? Purtroppo, sarà per molti – e sta già accadendo – un ricorso ancora maggiore ai farmaci che si possono acquistare in rete.
Invece per chi ha scelto la strada della non sedazione, questo è stato un evento importantissimo, l’occasione per una riflessione su sé stessi. Come quegli ordini religiosi in cui qualcuno va a chiedere di farne parte: prima ti tengono fuori cinque giorni in silenzio e a digiuno, e dopo che sei stato lì nel vuoto ti chiedono: davvero sei ancora convinto? Questo è stato per noi l’evento pandemico e la segregazione che ne è conseguita.”
N.S: Quindi per coloro che non hanno evitato di “sedarsi”, l’isolamento, non è stato per nulla educativo?
Dott. Montanari: “Parliamo di uomini e donne fatti e formati, per i quali il concetto di rettifica significherebbe il più delle volte buttare via più di metà della loro vita e ci vuole molto coraggio.
Io sono solito dire a chi comincia un’analisi, che l’analisi è un’azione violenta, di pensarci bene, che non è un pranzo di gala. In quel momento vedo l’enigma nei loro occhi. Perché non capiscono cosa vuol dire rivoltare l’armadio della loro vita, ed è molto drammatico.
Ma per un analista una coppia che viene e dice “non stiamo più insieme, era una follia”: è un bene! “Odio mio figlio”: per quanto sia doloroso, è un bene.
Perché è una soggettivazione: è rendersi conto delle balle che ci eravamo costruiti per tenere in piedi costrizioni familiari artificiose. È un bene tutte le volte che si fa un lutto. Tutte le volte che c’è un distacco. Nella maggior parte dei casi, invece, le persone non vogliono fare questo viaggio introspettivo e si chiedono piuttosto: perché andare a mettere tutto in forse? Adesso che posso andare in farmacia per imbottirmi di Tavor (cosa che facevano già prima, quindi aumenteranno la dose) o fumare o bere di più.”
N.S: Per quanto riguarda i rapporti domestici, cosa ne pensa?
Dott. Montanari: “Lanormalità è fatta di rapporti amorosi che stanno insieme con lo scotch, e con questa pandemia sono franati. Perché le modalità per stare lontani da un luogo in cui non si era più amati, dove non si amava, che era il lavoro o la palestra, di colpo sono stati azzerati.
Quindi per due mesi molte coppie hanno dovuto rendersi conto di stare con un perfetto sconosciuto. Tornare alla normalità significa prenderne atto e affrontarne le conseguenze. Aumenteranno i divorzi, non i figli.
Molte donne, purtroppo, fanno i conti con una normalità atroce.