Fare l’analista oggi

Dal 17 al 19 Febbraio 2017, si è svolto a Roma il Convegno ‘La psicoanalisi alla prova del tempo presente’, organizzato da L’UFR Études Psychanalytiques dell’Università di Parigi 7 e la Rivista Psiche, del quale allego il sito http://www.psicoanalisialluniversita.com/it/home-2/
Questo il mio intervento, un contributo alla questione ‘ Cosa fa, oggi, l’analista? In esso alcuni spunti e contenuti già apparsi nella rubrica Clinico Contemporaneo, su   psychiatryonline.

Clinica nel contemporaneo
Il contemporaneo è contrassegnato dall’indebolimento del sistema simbolico, l’evaporazione della funzione del padre e l’allentamento della legge. Ciò si è tradotto in una progressiva perdita di forza delle istanze tradizionalmente deputate a regolare il legame sociale: si pensi alle conseguenze cliniche della corrosione e mutamento di elementi quali il lavoro, i partiti politici, la struttura familiare. Il tramonto di questi elementi ha lasciato uno spazio vuoto sul quale nuove entità si installano, creando nuovi codici sociali per gestire e plasmare nuovi mores.
Basti pensare alla forza di Big Pharma, che decide e codifica le modalità di ammalarsi mentalmente prescrivendo poi le cure. O alla diffusione dei massimalismi religiosi.
Questa scomparsa ha fatto emergere una presenza diffusa della perversione, sia in termini di clinica individuale, sia come trama nascosta che intesse il legame sociale. La psicoanalisi, oggi, incontra questa evidenza.

Ma di cosa parliamo quando parliamo di perversione nel contemporaneo?
Allontaniamoci, per poi integrarla, dalla categoria freudiana, intesa come deviazione dall’istinto sessuale e fissazione su pulsioni parziali. Parliamo invece, implementando questa lettura con gli strumenti di Lacan, di un’altra legge, che da un lato regola la vita di molti che oggi, sempre piu’, bussano ai nostri studi, e dall’altro affiora dal sottobosco della città, mostrando la sua forza storica di regolatrice sottotraccia dei costumi.
La perversione perde dunque quella connotazione totalmente negativa che il frasario comune le assegna, per riappropriarsi del ruolo di struttura libera e a sé stante. Struttura che si connota si per l’indugiare in eccessi di godimento non solo sessuale, senza limite e freno, ma anche per il suo rapporto ambivalente ma necessario, con la Legge. Il perverso mantiene dunque il suo abito freudiano, ma si connota altresì per la sua capacità di mettere a lato la propria soggettività determinandosi ‘ esso stesso come oggetto’ prono al volere dell’Altro: altri codici, altre leggi, altri costumi, sovente in antitesi con quelli che regolano la convivenza civile. Dunque non una ‘patologia’, non una deviazione da supposti criteri di buona vita, quanto un modo di essere, ‘ (…) l’esplorazione privilegiata di una possibilità esistenziale della natura umana’[1]. Un’altra legge, dunque.

E una domanda insolita all’analista.

Aprire la porta al perverso, è oggi la sfida che l’analisi deve accettare.
La clinica mostra che egli è ben lontano dall’ignorare la Legge. Ne ha invece bisogno come punto di gravità, attorno al quale muoversi mantenendo una distanza di sicurezza, un incedere che ne fa a meno comprendendola, un punto di riferimento dal quale non si può prescindere senza mai farci davvero i conti.
Una Legge sfidata e provocata, poi rifuggita quando essa diviene punitiva o si manifesta sotto forma di sanzione concreta. Come l’hacker che tentando di violare un sistema informatico, al contempo mostra il bisogno di validarne l’esistenza e la tenuta. Come scrive Clavreaul : ‘ E’ in questo modo che ( il perverso ) si fa sostegno di una Legge della quale non è riuscito a provare la solidità, ricollegandola alla sua origine nella differenza tra i sessi e nell’interdetto all’incesto[2].’ Lo psicoanalista J. A. Miller scrive che il vero perverso ‘ non chiede un’ analisi. Non ne ha bisogno, perché conosce con esattezza la ragione del suo stare al mondo. Egli sta al mondo per il godimento e sa bene dove cercarlo[3]’.

Tuttavia, in un tempo dove i canali del godimento si sono moltiplicati e sono accessibili a tutti, sempre più persone con struttura perversa giungono in seduta con un troppo ingestibile. Con le cicatrici dell’incontro con una sanzione causata dai loro eccessi, uno stop imposto mentre erano intenti nella rincorsa all’illimitato.
Eccessi che esercitano su di loro un’invincibile forza di attrazione proprio perché vietati dalla legge, dalla morale comune, contenenti la forza di quella proibizione che il perverso deve sfidare, pena il ridurre il tutto a banali oggetti privi di interesse.‘ Sesso estremo, cocaina e scommesse. Questa è la mia vita, e non voglio cambiare nulla. Ma temo che la giustizia mi becchi e mia moglie mi lasci ‘ racconta il giovane industriale sfrenato e privo di sensi di colpa che non riesce più a gestire la sua impalcatura perversa perché troppo difficile da incastrare con i ritmi della vita quotidiana.

L’impasse di molti di essi deriva infatti non solo dall’incontro con il limite imposto dalla società, ma anche dall’impossibilità fisica ed economica di mantenere livelli di godimento così alti.
Il dipendente della multinazionale è dedito a rapporti sadomasochisti con alcuni colleghi. Poiché avvengono sul luogo di lavoro, l’angoscia portata in seduta è relativa alle minacce di licenziamento del direttore, che lo priverebbero dei suoi sodali, e solo secondariamente dello stipendio. Il noto avvocato che di notte nel suo locale consuma droga e, di giorno, difende davanti al giudice gli stessi pusher suoi fornitori, ora divenuti suoi assistiti, vede la sua azione bloccata dall’intervento della magistratura, e porta in seduta non già il timore per le conseguenze di una condanna penale, quanto la rabbia per essere stato costretto temporaneamente a sospendere il suo gioco perfetto.

Tutte queste persone sono state sanzionate dal sistema per il loro eccedere, sistema che ora minaccia di licenziarli, di divorziare, di metterli all’angolo. ‘ Lei deve aiutarmi a capire quando sforo, prima che mi cacci di nuovo nei guai’ mi è stato detto. Dunque lo studio dell’analista come autovelox che segnala in tempo utile la velocità troppo elevata. Non perché il conducente abbia a cuore la sua incolumità o quella altrui, e men che meno perché desideri una condotta di vita ‘regolare’, quanto perché è troppo alta la seccatura del vigile che lo ferma mettendogli le ganasce, impedendogli di fatto di sfrecciare sulle autostrade ancora e ancora. Egli non cerca alcun filo di Arianna da ripercorre come il nevrotico. E nemmeno è alla ricerca, come lo psicotico, della costruzione di un nuovo ‘abito’ per meglio adattarsi ad un mondo che lo ha trovato spoglio. Vuole un aiuto, ma non senza rinunciare ad essere un perverso. Il nevrotico può accettare di apparire come soggetto, piccolo, debole e marginale rispetto alla propria scena. Il perverso no. Egli è le sue gesta.

Possiamo definirla analisi? Non in senso proprio. Non c’è sintomo che produce sofferenza opaca al soggetto, non c’è inconscio. Egli soffre, questo si, ma non porta interrogazioni profonde, semplicemente non padroneggia più un giocattolo che conosce alla perfezione. Il perverso domanda un sostegno regolatore per mettere un limite laddove egli non lo percepisce. Egli sa bene che il pericolo che corre è l’inabissamento definitivo dentro ad un mare di godimento, col rischio di perdere quei minimi requisiti ( stipendio, casa, legami) che gli permettono di accedervi.

Dunque la psicoanalisi oggi non può cadere in derive confessionali, credendo di poter contrastare la volontà di chi, resosi conto della finitezza della vita, cerca di ridursi a puro corpo per sfuggire ed anestetizzare l’angoscia di un vivere sentito come mortalmente tedioso, come il perverso fa. Essa deve oltrepassare l’orizzonte di quei mondi censori e che si muovono verso il sole dell’avvenire della cura, della riabilitazione, della ‘guarigione’ a suon di divieti. La sola cosa che la psicoanalisi può fare è sostenere questi soggetti nella ricerca di un modo meno violento di saperci fare col proprio modo di godere, di consumare la vita.

Uno studio aperto a tutti diventa zona di collusione? Una critica ben argomentata

A queste mie considerazioni ha fatto eco un dibattito, vivace,  all’interno del quale una critica ben argomentata ha rilanciato la discussione.
Così facendo, non si rischia di divenire complici dell’allestimento teatrale del perverso, venendo dunque meno alla funzione di ‘psicoanalizzare ‘ il soggetto, e null’altro? Ha obbiettato un membro della SPI.
Ecco, questa obiezione nasconde la cifra della piega che fa l’acqua del ruscello, quando si strozza nella curva e da un lato prosegue, dall’altro viene risucchiata da un mulinello dalla foce del fiume dalla quale sgorga: c’è schiuma in superfice che tradisce un movimento di opposti che non riescono ad armonizzarsi.

Se seguiamo alla lettera non solo la lezione di Lacan, ma anche quella di Deleuze  e Guattari, come ho espresso in diverse parti del mio lavoro di indagine, la ribalta della perversione oggi è un dato di fatto, non una variabile in discussione. Se, come gli autori indicano, si deve seguire l’inconscio nei suoi meandri piu’ profondi, si arriva a quel ‘ al di la di ogni legge’ il che tratteggia, appunto, la perversione. Non intesa come deviazione da costumi morali ma , appunto, lacanianamente, come ‘un’altra legge’, una strada  non assoggettata all’Epido.

Questo carotaggio estrae un nocciolo de facto contrario ad ogni edipizzazione, che avviene solo successivamente nel corso della sviluppo del soggetto, con le necessarie dighe e strozzature che mettono l’altra legge a margine di quella dell’Edipo. ( il bambino non è infatti quel ‘perverso polimorfo ‘ di cui parla Freud?).
Ma, e qua voglio sottolineare il punto in questione, si tratta di un carotaggio che può aver effetti devastanti qualora sia l’analista che, assistendo all’apertura del vaso di Pandora , imponga  una edipizazzione  forzata, in studio, falciando con regole, dogmi ed imposizioni ciò che invece in studio ha il diritto, analitico ed umano, d fluire seguendo le leggi libere del gas. Deleuze e Guattari sostengono ‘ quante interpretazione del lacanismo, apertamente o segretamente pie, hanno cosi’ incontrato un edipo strutturale  per ( ..) ricondurci alla questione del padre

Ho ribadito la necessità di ridefinire, oggi, la posizione dell’analista. Il quale, a parere mio, ha il dovere etico di farsi trovare laddove interpellato.
E se alla porta bussa un perverso, ad esso bisogna aprire.
Il non scivolare nei gorghi della perversione, tenendo la barra ferma e indirizzata alla rettifica personale, per quanto possibile poiché in questi casi parliamo di limitazione del danno, sta nella preparazione e nella stoffa dell’analista. Che sa dove scorre il limite tra presenza rigida e complicità.
Ma ‘evitare’ di accettare ingaggi di questo tipo, respingerebbero la pratica analitica laddove la tendenza farmacologica e comportamentista vorrebbero: in soffitto, tra le cose fuori corso, inadatte al contemporaneo.
Non è un caso che Deleuze  e Guattari, mettendo alla prova l’edipizzazione forzata della clinica, ne individuano alcuni vulnus che confermano la bontà della loro critica. O, quantomeno, indicano che la loro mira è stata ben presa, almeno in funzione della mancata risposta dell’apparato analitico, dell’ istituzione analitica.

Non si dimentichi mai una cosa: la clinica non è rigida, statica o conservatrice. Lo sono coloro i quali si ergono a suoi depositari. Quale è appunto il vulnus che essi isolano? La perversione, il grande tabu’ del mondo analitico. Il perverso non accede ai luoghi analitici. Essi sostengono che ‘  il perverso si lascia mal edipizzare, perché mai accetterebbe supinamente , dal momento che si è inventato  altre territorialità ancora piu’ artificiali  dell’Edipo?’ Ecco allora la questione, da loro isolata che piomba a piene mani nel quotidiano. Il perverso va in analisi, ma la comunità analitica è disposta ad aprirgli  le porte?

Ordine! Ordine!

La ‘forzatura’ di un certo mondo analitico a voler restringere ogni manifestazione umana a una versione proto Edipica  definita da Deleuze e Guattari come similare alla trinità cattolica, bandendo la perversione dallo studio, è oggi una forzatura che porta ad una deriva ‘poliziesca ‘ della psicoanalisi.
D e G condividono l’approccio della ‘generazione dei fratelli’, ( A. Mitscherlich ‘ Verso una società senza padri’) , quella lacanianamente  segnata  dall’evaporazione del padre. Si tratta, che lo si concordi o meno, di una constatazione di ordine simbolico la quale, tuttavia, non deve essere intesa nella declinazione riduttiva,  oggi in voga,  della ‘mancanza dei papà’, i quali ci sono, continuano ad esserci nei modi che la strumentazione simbolica loro permette.
Parliamo invece della volontà coercitiva, e a clinica, di voler ‘edipizzare’ questa società, imponendo una versione arcaica e brutale dell’Edipo trino e d’acciaio, oggi fuori luogo, legata ad una non elasticità dell’analista nel prendere atto dei costumi, da un irrigidimento a prioristico che , rispetto a ‘quelli che non si lasciano edipizzare’ ha come conseguenza che ‘ lo psicoanalista è li pronto a chiamare in aiuto il manicomio o la polizia. La polizia con noi ‘.

Dunque, in nome di cosa si mette alla porta il perverso, se non in virtu’ di questa tendenza ad una visione arcaica e ingessata dell’analisi? La ‘paura della collusione’ e il conseguente timore del fare perverso, non è forse qualcosa che attiene a chi, dentro di se, non ha saputo osservare che il reale della clinica è cambiato in maniera repentina, e sente la sua inadeguatezza?

Quel che l’analista non può dire

Le visite di questi analizzanti ci offrono poi una visuale particolare del mondo, sfrondato dagli orpelli dell’apparenza, fornendo la cifra della diffusione dei codici perversi nel quotidiano.
Essi raccontano di zone grigie nelle quali luci ed ombre, lecito ed illecito si fondono. Quegli stessi luoghi indagati da Céline che affermava : ‘Tutto quello che è interessante accade nell’ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini’.

Come afferma J. Kristeva il sistema simbolico dell’uomo si costituisce attraverso la costruzione di barriere tra l’osceno ( la sozzura) ed il pulito. Escrementi, sangue, saliva, limitati da una ben definita linea di demarcazione dopo l’espulsione, sono destinati a non essere toccati o maneggiati ( se non, appunto, con disgusto), pena l’ammenda.
Ciò che determina il pulito, il lecito, è appunto il lordo, l’osceno. La linea divisoria formale mostra oggi piu’ chiaramente le fenditure e le porosità che tradiscono una contaminazione antica e reciproca tra i due canali.
Legge e anti legge si fondono nell’ombra delle profondità carsiche, per poi dividersi e fronteggiarsi all’uscita dal sottosuolo.

Sin dai tempi dello sbarco alleato in Sicilia, passando per le stragi dei servizi deviati, sino a ‘mafia capitale’, la lex italiana è sempre venuta a patti con universi illegali.
L’analista oggi fotografa e notabilizza questo punto di giuntura, costretto ad una forzata posizione di testimone.
Gli analizzanti che frequentano bische illegali, che sono dediti all’abuso clandestino di sostanze stupefacenti, che conoscono alla perfezione i luoghi della città ove si pratica sesso estremo, si danno appuntamento in territori conosciuti da tutti.
Ma sui quali vige l’osservanza di un tacito e reciproco silenzio.
Facilmente poi il perverso si presenta come un probo viro, uomo di mille virtu’, preoccupato di stabilire i fondamenti stessi di una legge, così che facilmente diventa moralista.
Molti di essi si ammantano di un’aura moralizzatrice affinchè questa nasconda l’osceno gemello che in qualche modo deve essere nascosto alla vista.
E tanto piu’ forti ed ostentate sono le virtu’, tanto piu’ sono profonde le oscenità che devono essere celate.

La psicoanalisi dunque registra la doppia morale sulla quale stanno in equilibrio di specchiati cittadini, virtuosi amministratori della res publica, personalità religiose, che in seduta descrivono le nequizie nascoste del potere, la diffusa corruttela, i sogni abusatori. Dunque mentre la grande parata dell’omaggio alla ‘famiglia tradizionale’ ( Familiy Day) andava in onda, l’analista vedeva in filigrana il riscontro delle cifre che la stampa ci consegna, e lo studio amplifica: in quell’arena erano sicuramente rappresentati tutti coloro che ingrossano le file della prostituzione notturna, ma di giorno promuovono battaglie per ‘ripulire le città’, pronti nottetempo a pagare fior di euro per sesso mercenario con quegli omosessuali e transessuali tanto desiderati in seduta quanto violentemente osteggiati di giorno.

L’analista sa, ma non può dire. E se lo dicesse, violerebbe quel margine posticcio che la società innalza tra sé e le proprie oscenità. 
Di questo l’analista oggi è testimone.
Quale è dunque il compito dell’analisi, oggi? Quello di rendere conto che il patto sociale sul quale fondiamo il nostro quieto vivere, non è per niente quieto, intriso di verità seminascoste occultate dalla società stessa.
Ma da quale posto la psicoanalisi osserva questo quotidiano? L’analista non è, per dirla con Zizek, un ‘kinico, colui che ‘mina coscientemente gli apparati dell’ideologia dominante, al fine di esporre gli interessi corrotti[4]’ allo scopo di scoperchiare, divellere, dare scandalo.
Figura questa che patisce un forte isolamento , poiché la città non vuole che qualcuno gli mostri quella verità che si rifiuta di vedere ( si pensi al destino dei vari Assange, Snowden, Englaro, che hanno gridato le nudità del re.) Nemmeno è un cinico, cioè un collabò, ‘ colui che è consapevole degli interessi particolari che sono alla base degli assiomi , ma (li) sostiene e riproduce[5]’. L’analista occupa una posizione terza, diversa da queste. Egli prende atto, senza colludere, ma anche senza rivelare. E’ un silente testimone del nostro tempo. Con un compito, come indica J. Kristeva: ‘ se un analista riesce a stare nel solo posto che è il suo, il vuoto (..)gli è forse possibile (..) costruire un discorso intorno a quell’intreccio d’orrore e di fascino che segnala l’incompletezza dell’essere parlante[6]’. Egli deve ‘ radiografare l’orrore senza capitalizzarne il potere(..) esibire l’abbietto senza confondersi con esso[7]’. Egli dunque, come Céline, cammina sul limitare del lato grigio della città, dovendo rimaner in equilibrio.

Religione e violenza

La psicoanalisi oggi può essere di aiuto anche nel leggere eclatanti fenomeni sociali, come i fondamentalismi religiosi e le azioni violente che questi partoriscono. Come Eichmann ha dimostrato, il perverso sadico meglio di tutti declina la sua vita come soldato obbediente alle direttive dell’Altro, senza volontà che non sia quella del sistema di valori verso il quale si pone come docile strumento. Dunque capace di atrocità inaudite per le quali non prova alcun senso di colpa perché, come un Golem, percepite come ordini da eseguire

‘Il sadico occupa egli stesso il posto dell’oggetto, ma senza saperlo, a beneficio di un altro, per il cui godimento egli esercita la propria azione[8]’ 

Attingendo a diverse fonti in rete sappiamo che : Oskar Paul Dirlewanger. Fu combattente e reduce della Prima guerra mondiale e ufficiale delle SS nella Seconda guerra mondiale.
Dal giugno 1940 al maggio 1945 a capo della 36. Waffen-Grenadier-Division der SS, meglio nota come Brigata Dirlewanger. Fondata principalmente con compiti di lotta ai partigiani, finì per combattere contro l’Armata Rossa.

La sua unità è tristemente nota per essersi macchiata di alcuni dei peggiori crimini di guerra dell’intero esercito nazista.
Nata nel 1940, venne formata principalmente da ex detenuti per reato di bracconaggio (si riteneva fossero abili esploratori) ma col passare del tempo iniziò a reclutare anche detenuti militari così come criminali comuni, come ladri o aggressori. Nel 1943 venne aperto il reclutamento anche ad autori di crimini gravi, come assassini e stupratori. A capo di questo particolare e perverso “progetto di riabilitazione” venne posto Oskar Paul Dirlewanger, alcolista e, si sospetta, anche tossicodipendente, già condannato per “offesa al buon costume” (si sospetta per un caso di pedofilia) nel 1934, quando era ancora un semplice docente, episodio che gli costò anche l’espulsione dal partito.
Rientrato in Germania dopo aver combattuto nella guerra civile in Spagna, riabilitato per aver preso parte alla battaglia di Madrid, entrò come volontario nelle SS e ne scalò la gerarchia. Fu posto poi a capo della nuova divisione grazie all’intercessione di ex comagni d’arme della Prima guerra mondiale.

Questo reparto, formato dai peggiori scarti della società tedesca del periodo, si dimostrò nei fatti un mezzo per i suoi membri per continuare a commettere crimini e a restare impuniti. Pure i dirigenti stessi della Wehrmacht si espressero più volte contro questa unità e il suo capo, spesso infastiditi dalla fama che la circondava o dalla sola presenza dello stesso Dirlewanger.
La prima missione dell’unità fu in Polonia nel 1941 col compito di condurre attività contro i partigiani locali. Le accuse di stupri, furti, saccheggi e massacri ai danni della popolazione civile non si contavano, tanto da spingere i suoi superiori a chiederne l’allontamento. Venne ricollocato in Bielorussia nel 1942, per una nuova missione anti partigiana. Anche qui i crimini erano praticamente quotidiani. Si stima che tra il 1942 e il 1944, anno del ritorno in Polonia, circa 200 villaggi siano stati dati alle fiamme e circa 120.000 civili furono uccisi.
Ripiegò in Polonia dopo la controffensiva sovietica e si trovava a Varsasia nell’estate, quando scoppiò la rivolta nella città. Secondo le cronache, il comportamento di Dirlewanger e dei suoi uomini fu talmente spietato e bestiale che lo stesso Himmler, preoccupato di perdere il controllo sull’unità, inviò un battaglione della polizia militare delle SS per cercare di porle un freno.
Operò poi in Slovacchia e in Ungheria, dove i suoi membri non persero occasione di rimarcare la loro fama. Rientrò in Germania nel febbraio 1945, per poi arrendersi ai soldati americani il 3 maggio successivo.
Nel suo momento di massima grandezza l’unità arrivò a contare anche 4.000 uomini.

Il 1 giugno 1945 Oskar Dirlewanger venne preso in consegna da soldati polacchi inquadrati nella forza francese di occupazione, che picchiarono e torturano il gerarca fino ad ucciderlo dopo circa due settimane di prigionia.
Storici e ricercatori diranno di lui che era un sadico, un killer psicopatico, un pedofilo, un necrofilo, un uomo crudele e profondamente disturbato.

Leggiamo così, oggi, il diffuso utilizzo della ‘religione’ come strumento per dare forma all’odio personale. La ‘professione di fede’ oggi è un autobus sul quale trovano un passaggio feroci e lucide personalità perverse, capaci di tramutarsi in micidiali macchine di morte qualora scorgano in qualche Dio, o qualche cattivo maestro eletto a guida spirituale, quegli stessi inconfessabili desideri di dispensare morte e infliggere dolore a terzi che non avevano trovato diritto di cittadinanza in alcun luogo, se non nei meandri del loro animo.
Una lettura preliminare della vita di Omar Mateen, l’autore della strage di Orlando nella quale vengono uccisi 49 uomini scelti per il loro orientamento sessuale, ci consegna un uomo livido e manesco che gode nel picchiare la moglie. Per costui era la femminilità , ma anche l’uomo che bacia un altro uomo, quell’indicibile enigmatico che ha fatto crescere per anni un odio omicida stoccato in profondità. Nella notte tra l’11 e il 12 Giugno, poco prima di imbracciare le armi, chiama il 911 e dichiara fedeltà allo stato islamico, di fatto diluendo la sua azione in un disegno piu’ ampio e assolvendosi. In realtà lui aveva ben chiaro da tempo quale fosse l’oggetto da sottoporre a tortura, da tenere in scacco e angosciare ( è ‘ l’angoscia dell’altro che il desiderio sadico sa far vibrare[9]’), ma solo quando incontra un’investitura religiosa i suoi istinti possono finalmente passare all’atto.
La psicoanalisi può oggi, in un tempo di violenza massimalista e derive xenofobe, privilegiare il proprio sguardo clinico, costatando che in molti casi di fanatismo religioso Dio è quell’invenzione grazie alla quale l’odio del sadico si affaccia sul mondo, passando dalla porta della fede.
Questo perché il perverso è in sé un uomo di fede, un essere che cerca, edifica, installa e venera un Dio al quale votarsi, immedesimarsi. Il sadico è ‘ Un difensore della fede (…) un singolare ausiliare di Dio[10]’
Consiste in questo la natura golemica del sadico che oggi accorre ai richiami del reclutamento terrorista. Dormiente, adagiato sulla volontà del violento padrone, il cui desiderio di morte è preso come legge. Un padrone che, a differenza del rabbino Low, non lo rimette a dormire per sempre nel soffitto della sinagoga, ma lo incita e rinforza nella sua posizione di seminatore di morte.

[1] J. Lacan, Gli Scritti tecnici di Freud, Einaudi [2] J. Clavreul, Perversion, Enciclopaedia Universalis [3] J. A. Miller, Logiche della vita amorosa, Astrolabio [4] S.Zizek, Leggere Lacan. Guida perversa al vivere contemporaneo. Bollati Boringhieri. [5] idem [6] J. Kristeva, Poteri dell’orrore, Spirali

Scritto da Maurizio Montanari per PSYCHIATRY online Italia.